Storia Medievale dal Comune alle Signorie.

Stemmi delle principali signorie italian

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Il Comune e La Signoria

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Lo sviluppo dei comuni

Le città a regime repubblicano

Le principali signorie dell'Italia settentrionale

Verona

Milano e i Visconti

I Medici a Firenze

Guerra tra Milano e Venezia

Piccolo lessico Doge Oligarchia

Personaggi celebri

Conte di Carmagnola

Riassunto cronologico

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STORIA MEDIEVALE - DAL COMUNE ALLE SIGNORIE

LO SVILUPPO DEI COMUNI

Dopo la vittoria su Federico I, approfittando della crescente decadenza dell'impero, i Comuni italiani si fecero sempre più forti e indipendenti, diventando quasi degli Stati veri e propri.

Le nuove forze cittadine entrarono però in urto con il potere dell'alta nobiltà feudale e l'alto clero, che furono costretti ad unirsi e ad agire in comune.

Questa alleanza fra nobiltà e clero preoccupò le masse cittadine e le stimolò a tutelare i propri interessi e le proprie attività:

la vita comunale visse così il fenomeno delle associazioni, che coinvolse la piccola e media nobiltà, i giuristi, i notai, commercianti e artigiani.

Le associazioni all'inizio ottennero dai vescovi alcuni diritti di produzione, di commercio e di transito, e in alcuni casi la facoltà di non pagare tasse o dazi.

Quando esse però si estesero ulteriormente, fino a comprendere l'intera cittadinanza, i Comuni si sostituirono completamente ai rappresentanti del re o del papa o dell'imperatore, espandendo al massimo i propri poteri.

Così, agli inizi del XII secolo, il Comune divenne una realtà sociale ed economica dotata di ampia autonomia amministrativa e politica.

Proprio in questo periodo molte città italiane del nord incominciarono un processo di trasformazione molto radicale.

Nel momento di pieno sviluppo, i Comuni divennero qualcosa di più di semplici città.

Infatti intorno al centro urbano vi erano territori piuttosto vasti, con borgate e cittadine minori, che dovevano essere organizzate e governate.

Il numero degli abitanti crebbe progressivamente e le esigenze e i rapporti di vita si fecero sempre più complessi.

D'altro canto i Comuni italiani continuarono ad avere vita piuttosto travagliata:

le lotte intestine tra le fazioni e i rancori personali non assicuravano infatti quella stabilità necessaria al fiorire dell'economia.

Si fece così strada tra i cittadini stessi l'idea che occorresse un governo più stabile, al di sopra delle parti, capace di far rispettare la legge e di difendere il Comune dai nemici esterni.

Da qui prese il via la trasformazione che portò i Comuni a diventare Signorie.

I Comuni, sorti e sviluppati fino a quel momento sulla base di organismi di tipo repubblicano (in cui i cittadini votavano gli Statuti, eleggevano di anno in anno i magistrati e controllavano che questi rispettassero fedelmente gli Statuti stessi), assunsero così un ordinamento di tipo monarchico.

Le leggi, in questo ambito, dipendevano praticamente solo dal signore, e i magistrati erano da lui nominati e controllati.

Ai cittadini, in cambio della pace e del normale sviluppo della vita economica, fu tolto il diritto di influire, con il libero voto, sulla vita politica.

Ma non tutte le città subirono questa trasformazione: nella seconda metà del Duecento, divennero Signorie solo i più importanti Comuni del settentrione d'Italia.

Treviso passò sotto la Signoria della famiglia dei Da Camino, Padova sotto quella dei Carresi, Mantova dei Bonacolsi prima e dei Gonzaga poi, Ferrara degli Estensi, Milano dei Della Torre prima e dei Visconti poi, Verona degli Scaligeri.

Le Signorie più importanti furono quelle di Verona e Milano.

Il passaggio della città dall'ordinamento comunale a quello della Signoria veniva, in genere, ratificato attraverso l'elezione a vita del signore a capitano del popolo o a podestà.

Questi dunque non intaccava formalmente gli organismi comunali ma si sovrapponeva ad essi, svuotandoli progressivamente del loro potere.

Con il passare del tempo i signori ebbero la facoltà di trasmettere il loro potere agli eredi e ottennero il riconoscimento da parte dell'imperatore, che li nominò marchesi o duchi.

Ma se in alcuni casi l'istituzione di un capitano del popolo con poteri illimitati portò dei benefici alla città, assicurando un governo più equo e promuovendo lo sviluppo economico, si verificò anche l'effetto contrario.

Accadde infatti che alcuni signori, ispirati dai tiranni del passato, approfittassero dei loro poteri per trarre dei vantaggi economici a discapito dei cittadini, che invece speravano, proprio attraverso l'istituzione della Signoria, di trovare la soluzione alle ingiustizie.

Visita virtuale alla Sala dei Nove del Palazzo Pubblico di Siena

Visita virtuale a San Gimignano: piazza del Duomo, il palazzo del Podestà e le torri del Salvucci

Trasformazione virtuale nel corso dei secoli del castello estense a Ferrara

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LE CITTÀ A REGIME REPUBBLICANO

Non tutti i Comuni italiani, come abbiamo detto, subirono la trasformazione in Signoria.

Alcune città continuarono infatti, per tutto il Trecento, a mantenere regimi repubblicani e non caddero nelle mani di un singolo Signore e dei suoi eredi.

I più importanti Comuni «repubblicani» furono Firenze, Venezia e Genova.

A Firenze, le lotte tra le diverse fazioni, appoggiate dalle grandi famiglie cittadine, per il possesso del potere politico, si mantennero accese per tutta la seconda metà del Duecento e, verso la fine del secolo, determinarono una vera e propria divisione della città in due schieramenti.

Si formarono infatti i «partiti» dei Bianchi e dei Neri, facenti capo rispettivamente alla famiglia dei Cerchi, esponente della ricca borghesia di tendenza popolare, e a quella dei Donati, propugnatrice di una piena restaurazione del potere nobiliare.

Papa Bonifacio, desideroso di ristabilire il proprio controllo sulla città, inviò allora nella città toscana Carlo di Valois, con l'incarico di far da paciere tra i due schieramenti.

Ma questi, rispettando i segreti propositi del papa, si schierò dalla parte dei Neri, che riuscirono così ad avere il sopravvento (1302).

Si trattò comunque di una vittoria parziale in quanto i Neri non riuscirono a restaurare il potere nobiliare.

Con l'andare del tempo, anzi, la loro azione politica finì per coincidere con gli interessi e le aspirazioni della grande borghesia.

Per tutto il Trecento, pur perdurando le lotte interne, nessuna Signoria riuscì ad affermarsi e la città continuò pertanto a vivere nell'equilibrio interno fra le grandi famiglie della ricca borghesia mercantile.

La città, intanto, andò espandendo il proprio territorio a danno dei comuni vicini, estendendo i propri lucrosi traffici non solo in Italia ma in tutta Europa.

Anche un tentativo di instaurare un governo basato sul popolo (tumulto dei Ciompi del 1378) non ebbe fortuna.

Nel Comune di Venezia, dopo la serrata del Maggior Consiglio, che limitò l'accesso a tale organo alle famiglie che ne facevano già parte, il carattere oligarchico della repubblica si consolidò.

Tale carattere dello Stato veneziano non mutò per tutta la storia della Serenissima.

Il popolo non ebbe mai la possibilità di entrare a far parte della vita politica e il doge (quantunque fosse nominato a vita e avesse onori quasi regali) non riuscì mai ad instaurare la Signoria.

Nel Comune di Genova continuò a dominare un gruppo ristretto di famiglie, ciascuna delle quali impedì alle altre di imporre il proprio dominio assoluto sulla città.

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LE PRINCIPALI SIGNORIE DELL'ITALIA SETTENTRIONALE

VERONA

Verona mantenne la struttura comunale fino alla metà del Duecento.

A partire da quel periodo, iniziò però a prevalere la parte popolare che, guidata dal capitano del popolo a vita, instaurò la Signoria, attribuita alla famiglia dei Della Scala o Scaligeri (nome derivato dalla scala a pioli raffigurata sul loro stemma).

All'inizio del Trecento, Cangrande della Scala diede avvio al periodo di maggior splendore della Signoria degli Scaligeri.

Infatti Cangrande e i suoi successori si dedicarono alla conquista di varie città del Veneto, spingendosi anche verso la Toscana.

Ma la progressiva espansione del dominio scaligero allarmò gli Stati e le repubbliche vicine, che si unirono in una lega per battere la Signoria veronese.

I Visconti di Milano e la Repubblica di Venezia, alleatisi nel 1379, vinsero gli Scaligeri, i quali furono costretti ad abbandonare tutte le città conquistate, riuscendo a mantenere soltanto Verona e Vicenza.

Infine la Signoria dei Della Scala fu abbattuta dai Visconti che occuparono il Veneto, conquistando anche la città di Verona.

MILANO E I VISCONTI

Verso la metà del '300, nella Pianura Padana assunse grande importanza la città di Milano, retta dalla famiglia dei Visconti, che si erano impadroniti della città al tempo di Enrico VII.

La Signoria restò a questa famiglia fino alla metà del Quattrocento.

La potenza dei Visconti incominciò con Matteo Visconti e crebbe, verso la metà del secolo, con Giovanni Visconti, che riuscì ad allargare i confini milanesi fino a Genova, a Bologna e all'attuale Canton Ticino (Svizzera).

La fortuna della città di Milano era naturalmente legata alla sua posizione geografica, proprio nel cuore della Pianura Padana, dove affluivano le principali vie commerciali che, attraversando le Alpi, legavano l'Europa all'Italia.

Questa fortunata circostanza fece di Milano un grande centro artigianale e industriale (industrie tessili e metallurgiche), il cui sviluppo economico fu continuamente incrementato anche dall'agricoltura, che i Visconti curarono scrupolosamente con opere di bonifica, di canalizzazione e irrigazione.

Questa grande espansione fu ripresa e sfruttata con grande slancio da Giangaleazzo (1378-1402) che, grazie alla sua eccezionale abilità politica, riuscì a riunificare i territori viscontei, costituendo un saldo organismo.

Le fortune politiche di Giangaleazzo trovarono riconoscimento da parte dell'imperatore Venceslao, che lo insignì del titolo di duca, e gli procurarono l'appoggio della monarchia francese, soprattutto in seguito al matrimonio della figlia di Giangaleazzo con il duca d'Orleans, fratello del re Carlo VI.

Giangaleazzo favorì inoltre le arti presso la sua corte, come testimoniano il Duomo di Milano e la Certosa di Pavia, la cui costruzione fu da lui promossa.

La potenza del nuovo duca stava incominciando ad allarmare gli Stati vicini quando, a causa di una epidemia, Giangaleazzo morì improvvisamente nel 1402, lasciando incompiuti i suoi progetti. Così ancora una volta il potere visconteo minacciò di dissolversi nelle lotte di successione.

Nel 1412, tuttavia, un figlio del defunto duca, Filippo Maria, ricostituì l'unità del ducato, riuscendo ad affermare il suo dominio anche sul porto di Genova.

Tour Virtuale del Castello di Pavia (I.E.8)

I MEDICI A FIRENZE

Fallito il moto popolare dei Ciompi, verso la fine del Trecento, la ricca borghesia fiorentina riprese il controllo della città e diede vita ad un governo di tipo oligarchico, retto dagli esponenti delle più ricche e potenti famiglie. Tra queste prevalse, all'inizio del Quattrocento, quella dei Medici, una famiglia di ricchi banchieri. I ceti più poveri della popolazione guardavano con simpatia alla famiglia dei Medici ed in particolare a Cosimo il Vecchio, detto padre della patria, il suo più qualificato rappresentante. L'oligarchia cittadina invece, temendo che Cosimo potesse essere eletto signore della città, lo esiliò. Egli dovette perciò rifugiarsi prima a Padova e poi a Venezia, dove fu accolto molto amichevolmente. L'anno seguente poté tornare a Firenze dove riuscì ben presto ad impadronirsi del potere. Dal 1434, per trent'anni, Cosimo de' Medici tenne saggiamente e saldamente la città sotto la propria tutela, trasformando il Comune di Firenze in una Signoria. Egli fu un grande mecenate, non solo per la protezione da lui accordata a letterati ed artisti, ma anche per le sue qualità di uomo di ingegno. A Cosimo succedette il figlio Piero, detto il Gottoso, personaggio debole e malaticcio, che riuscì quasi a pregiudicare le fortune della famiglia. Alla sua morte il potere passò ai suoi due figli Giuliano e Lorenzo, sotto il governo dei quali l'oligarchia fiorentina ebbe un ultimo sussulto d'opposizione. I due Medici erano infatti al potere da quasi un decennio, quando, nel 1478, esplose la Congiura dei Pazzi (dal nome della famiglia che guidò il tumulto). Questa famiglia, decisamente avversa ai Medici, poté godere dell'appoggio della famiglia dei Salviati e di papa Sisto IV. Quest'ultimo infatti era fortemente interessato ad allontanare i Medici da Firenze volendo procurare al nipote Girolamo di Riario una Signoria. La congiura portò all'assassinio di Giuliano de' Medici nella chiesa di Santa Maria del Fiore, durante una messa. Una volta sopraffatta la rivolta, Lorenzo rimase così solo alla guida della Signoria toscana. Il re di Napoli, Ferdinando, tentò di approfittare della delicata situazione, muovendo guerra a Firenze e ai Medici. Ma Lorenzo, per prevenire lo scontro, si recò personalmente alla corte del re di Napoli riuscendo, grazie alla sua eloquenza, a persuaderlo del comune interesse per la pace italiana, poiché una guerra generale tra i vari Stati della penisola avrebbe attirato in Italia le mire delle maggiori nazioni europee. Lorenzo de' Medici, passato alla storia con il soprannome de il Magnifico, segnò il primato dei Medici nella vita politica del tempo, e per primo riuscì ad intuire la necessità di una politica d'equilibrio tra gli Stati italiani.

In qualità di tutore della pace, nel 1485 intervenne per impedire che il pontefice Innocenzo VIII, appoggiato da alcuni baroni, si impadronisse dei territori dell'Aquila, appartenenti al Regno di Napoli. Lorenzo riuscì così a distogliere il papa da una politica che sarebbe risultata dannosa per il Regno di Napoli e per tutta l'Italia, mentre Ferdinando sedò la rivolta baronale nel napoletano, appena in tempo per evitare l'intervento nella vicenda italiana da parte della Francia e della Spagna. Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, nel 1492, si sviluppò un profondo dissidio tra Ferdinando d'Aragona e il reggente del ducato milanese, Ludovico il Moro, il quale si era impossessato del potere a danno del nipote, Gian Galeazzo II. A causa di questo contrasto, come vedremo, gli Stati italiani persero la propria autonomia e caddero sotto il completo dominio degli Spagnoli.

Stemmi delle principali signorie italiane

Stemmi delle principali signorie italian

Lorenzo de' Medici detto il Magnifico (1449-1492)

Lorenzo de' Medici

GUERRA TRA MILANO E VENEZIA

Alla morte di Giangaleazzo, nel 1402, il ducato di Milano entrò in un periodo di grande crisi, caratterizzato da una pericolosa disgregazione; di questa situazione approfittò prontamente Venezia, che si appropriò di vari territori del Veneto, già dei Visconti, quali Vicenza e Verona. Ma nello stesso anno Giovanni Maria Visconti ricostituì il ducato sotto la sua Signoria, facendosi riconoscere anche da altre città del Piemonte, della Liguria e dell'Emilia. La Repubblica di Venezia, che estendeva il suo dominio fino alla sponda orientale del Garda, si sentì minacciata nei suoi interessi, così come Firenze, i cui territori confinavano in Liguria con quelli dei Visconti. Tra queste due città si costituì quindi una lega antimilanese, in cui soltanto Venezia, animata dal doge Francesco Foscari, sostenne la guerra. Per merito del Conte di Carmagnola (un valente condottiero al servizio della Repubblica della Serenissima) Venezia vinse il primo scontro con Filippo Maria Visconti nella battaglia svoltasi a Maclodio, in territorio bresciano, nel 1427. Tra i condottieri al servizio della Repubblica di Venezia vi era anche Francesco Sforza, il quale aspirava a diventare Signore di Milano, essendo lo sposo della figlia del duca, il quale non aveva eredi diretti. Dopo un breve periodo di pace, il ducato di Milano estese le proprie mire espansionistiche al centro-Italia, e in particolare verso i territori dello Stato Pontificio. Per fronteggiare il nuovo pericolo, di nuovo Venezia e Firenze invocarono l'alleanza. La guerra riprese e ben presto si estese anche al regno di Napoli, dove, in seguito alla morte della regina Giovanna II, era nato un conflitto per la successione tra Alfonso d'Aragona, già re di Sicilia, e Renato d'Angiò, figlio di Luigi II. I milanesi in un primo tempo si schierarono dalla parte degli angioini, ma poi si allearono con Alfonso I. A decidere il conflitto fu comunque il passaggio di Francesco Sforza dalla parte dei Milanesi. Con le sue vittorie accelerò infatti la conclusione della guerra, sancita nel 1441 con la pace di Cremona. In seguito a questa, Venezia ottenne Ravenna, mentre Alfonso d'Aragona si insediò sul Regno di Napoli. Morto improvvisamente Filippo Maria nel 1447, i Milanesi proclamarono la fondazione della Repubblica Ambrosiana. Francesco Sforza aveva tutt'altre intenzioni che servire la repubblica e, in un attimo di debolezza della città, si fece proclamare duca nel 1450. Venezia riprese allora la lotta contro Milano, lotta alla quale Firenze non partecipò in quanto preoccupata della eccessiva volontà di espansione della stessa Repubblica di Venezia. Con la caduta di Costantinopoli sotto il dominio turco nel 1453, i Veneziani furono però costretti a rinunciare ai progetti di espansione ai danni di Milano e non poterono far altro che condurre una politica di grande prudenza. Al pensiero di una possibile invasione turca, gli Stati italiani conclusero nel 1454 la Pace di Lodi, che consolidò nuovi rapporti di alleanza.

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Comune.

Dir. - Ente pubblico autarchico a base territoriale. Le istituzioni comunali sono antichissime; ma nell'attuale ordinamento si differenziano dal c. medioevale poiché quest'ultimo aveva un potere di imperio originario, che non derivava cioè dallo Stato e si manifestava non solo nella funzione amministrativa, ma pure in quella legislativa e giurisdizionale. Il c. è almeno per ora, la più importante delle persone giuridiche autarchiche. Il c., appunto perché è un ente autarchico, oltre ad avere organi propri, un suo patrimonio, una propria autonomia, ha un proprio territorio, una propria popolazione e un proprio potere di comando. Questi tre ultimi costituiscono appunto gli elementi costitutivi dell'ente comunale. Il territorio comunale è quella parte del territorio statale su cui l'ente comunale esercita le proprie attribuzioni, cioè esplica il suo potere con esclusione di ogni altro ente territoriale, eccezione fatta del potere sovrano dello Stato e del potere esercitato dalla Provincia. L'estensione del territorio può variare e può essere modificata in occasione di fusioni e aggregazioni fra c.; per ingrandire infatti il territorio di grandi metropoli si può ridurre il numero dei piccoli c. a mezzo di aggregazioni. L'altro elemento costitutivo del c. è la popolazione, rappresentata da quel gruppo di individui che abbiano nel territorio del c. la residenza o il domicilio, oppure che assumano la qualifica di contribuenti dello stesso. Queste ultime qualità indicano che un cittadino può far parte anche di più c. Sopra questo complesso di persone il c. esercita il suo potere di comando. La potestà di comando del c. si esplica non solo con atti materialmente amministrativi, quali l'ordinanza del sindaco, ma anche con atti aventi valore materialmente legislativo, quali i regolamenti, che può emettere in date materie. Si deve notare però che tutto il potere comunale è sottoposto alla vigilanza e tutela dell'autorità governativa differenziandosi, appunto per questa dipendenza amministrativa, dal potere dell'ente Regione, il quale presenta invece una dipendenza costituzionale, essendo quest'ultimo sottoposto esclusivamente ai massimi organi costituzionali, cioè al capo dello Stato e al parlamento. Per quanto riguarda le funzioni, si possono distinguere le funzioni proprie del c. e le funzioni per la soddisfazione di interessi propriamente statali. Le funzioni proprie si ripartiscono in: funzioni di ordine sociale, che sono le più numerose, quali i servizi sanitari e igienici, macelli, mercati, illuminazione pubblica, ecc.; e funzioni giuridiche. cioè le attività di polizia urbana, locale e rurale. Si può pure includere, fra queste funzioni proprie del c., la facoltà normativa, di natura regolamentare in materia di polizia urbana, di edilizia e di sanitaria. Tra le funzioni relative alla realizzazione dei fini statali, che il c. esercita in nome proprio ma nell'interesse dello Stato, abbiamo l'esercizio relativo alla leva militare, al nuovo catasto, ai censimenti, all'ufficio di conciliazione, all'alloggio dei carabinieri, ecc. Se questa è la prima distinzione delle funzioni del c., seguendo invece un'altra linea di esposizione, abbiamo una triplice distinzione dell'attività dei c.: attribuzioni vietate, attribuzioni facoltative, attribuzioni obbligatorie.

Attribuzioni vietate: i c. non possono assolutamente inserirsi in quella parte di attività dello Stato, che viene denominata di tutela giuridica e cioè in tutto ciò che riguarda i rapporti con gli Stati esteri, i rapporti con l'autorità ecclesiastica, nell'amministrazione della giustizia, nel mantenimento delle forze armate, eccezion fatta per ciò che concerne la polizia rurale o edile. ║ Attribuzioni facoltative: si tratta di attività sociali, che in astratto il c. può esercitare tutte sia curando l'igiene sociale, sia ingerendosi nei rapporti economici, sia aprendo o sussidiando strade, sia aiutando industrie, sia aprendo o mantenendo scuole, musei, gallerie, ecc. Si tratta di un'attività indefinita che il c. può spiegare nel campo sociale. Notevole è poi una moderna forma di attività comunale: la municipalizzazione dei servizi pubblici. ║ Attribuzioni obbligatorie: la legge determina queste attribuzioni partendo dal punto di vista finanziario, cioè dalle spese comunali. Queste, oltre ad essere ordinarie e straordinarie, possono essere obbligatorie e facoltative. Le prime sono quelle tassativamente previste dalla legge e comprendono le spese dirette al mantenimento dell'amministrazione comunale, ai servizi sanitari, a beneficio dei poveri, alla polizia locale, alla manutenzione, arredamento edifici scolastici, ecc. Si tratta quindi di spese corrispondenti a servizi che i c. sono tenuti ad organizzare e ad esercitare. Le seconde, cioè le facoltative, sono quelle non contemplate dall'art. 91 T.U. legge com. e prov. 1934. Le disposizioni costituzionali, sancite dall'art. 128 ("i c. sono enti autonomi nell'ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano la funzione") e dalla IX disposizione transitoria ("la Repubblica, entro tre anni dall'entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze della autonomie locali"), sono rimaste inattuate sino all'entrata in vigore della legge 1.7.1975 n. 382. Questa legge, sancita dal decreto di attuazione del 24.6.1977 n. 616, ha profondamente modificato e ampliato le attività dei c. Oltre ai compiti precedenti, sono state attribuite a questi enti locali nuove funzioni amministrative, precedentemente di competenza dell'autorità prefettizia. Tali funzioni, sono elencate nell'art. 19 della nuova legge e riguardano il rilascio di una serie di "licenze" per l'esercizio del commercio e di numerose altre attività. L'art. 9 della legge stabilisce che i c. sono investiti di compiti di polizia amministrativa nelle materie a essi attribuite o trasferite, che non siano proprie delle competenti autorità statali, e limitatamente all'ambito territoriale del c. stesso. Sono state inoltre attribuite ai c. funzioni amministrative relative all'organizzazione e all'erogazione di servizi assistenziali, compresi quelli relativi all'assistenza scolastica, nonché all'assistenza sanitaria e ospedaliera che non siano espressamente riservati allo Stato, alle regioni e alle provincie. Tra le numerose funzioni assegnate ai c. dal nuovo ordinamento, va ricordato il controllo dell'inquinamento atmosferico proveniente da impianti termici e industriali, il controllo dell'inquinamento atmosferico e acustico prodotto da auto e motoveicoli, oltre che da altre eventuali fonti di inquinamento atmosferico e sonoro. Per rendere più funzionali i compiti amministrativi dei c., con legge 8.4.1976 n. 278, sono state introdotte le circoscrizioni o zone comunali. Sulla base di quanto stabilito da questa legge, i c. possono deliberare la ripartizione del loro territorio in circoscrizioni comprendenti uno o più quartieri o frazioni, rette da un consiglio circoscrizionale, al quale sono affidati compiti prevalentemente consultivi (esprimere pareri o formulare proposte al c.), potendo avere poteri deliberativi in materia di lavori e servizi pubblici nel caso in cui ciò sia previsto da un apposito regolamento comunale. Quando la circoscrizione ha potere deliberativo, il consiglio circoscrizionale, retto da un presidente, viene eletto direttamente dai cittadini, sempre che il c. abbia un numero di abitanti non inferiore ai 40.000. Negli altri casi viene eletto dal consiglio comunale.

Controllo governativo sul c.: affinché le attività del c. siano conformi agli interessi pubblici ai quali, come sappiamo, non sono estranee le finalità dello Stato, è necessario che vi siano organi che controllino l'operato del c. stesso. Essi sono il Prefetto e la Giunta Provinciale Amministrativa (GPA). Il controllo si attua attraverso la vigilanza, o controllo di legittimità, e attraverso la tutela, o controllo di merito. Il primo tipo di controllo si concreta nel visto, il secondo nell'approvazione, che sono rispettivamente esercitati dal Prefetto e dalla GPA. Il visto e l'approvazione producono l'esecutività dell'atto, che è già di per se stesso perfetto, ma la cui efficacia è condizionata al controllo. Quest'ultimo può essere preventivo, repressivo, sostitutivo e ispettivo. Il controllo preventivo viene esercitato dal Prefetto e dalla GPA. Il controllo repressivo consiste nell'annullamento delle deliberazioni pronunciato dal Prefetto per motivi di illegittimità nel termine di 20 giorni da quello in cui le deliberazioni pervennero alla Prefettura. Qualora poi il sindaco non spedisca mandati o non compia gli atti comunque obbligatori per legge, salvo il caso che la sostituzione competa al Prefetto, provvede la GPA con il cosiddetto controllo sostitutivo. È predisposto pure un controllo ispettivo per assicurare mediante visite saltuarie e periodiche presso le amministrazioni comunali il regolare andamento delle medesime. ║ Gli organi del c. L'amministrazione dei c. è composta dal Consiglio comunale, dalla Giunta municipale e dal sindaco. Il Consiglio comunale è il massimo organo elettivo, comprendente il nucleo degli amministratori liberamente scelti dagli amministrati attraverso elezioni. La legge del 25 marzo 1993 stabilisce che i membri siano 60 nei c. con popolazione superiore a un milione; 50 in quelli con 500.000 abitanti; 30 in quelli con più di 30.000 abitanti; 20 nei c. con più di 10.000 abitanti; 12 negli altri. L'elezione è basata sul sistema maggioritario per i c. con popolazione superiore ai 15.000 abitanti; è invece proporzionale per quelli con popolazione inferiore. Il Consiglio delibera su tutte le materie di amministrazione comunale che non siano attribuite dalla legge al sindaco o alla giunta. Può delegare a quest'ultima oggetti che non siano espressamente attribuiti al Consiglio dalla competenza specifica. Il Consiglio comunale funziona collegialmente, di conseguenza le sue deliberazioni esprimono la volontà della maggioranza dei cittadini, di cui i consiglieri sono i legittimi rappresentanti. Sono eleggibili a consiglieri comunali per la durata in carica di quattro anni gli iscritti nelle liste elettorali di qualsiasi c., purché sappiano leggere e scrivere. La Giunta municipale, che rappresenta il Consiglio nell'intervallo delle sue sessioni, viene eletta dal Consiglio comunale stesso nel suo seno, e assicura la continuità della funzione amministrativa del c. È composta dal sindaco, che la presiede, e dal seguente numero di assessori e supplenti non superiore a: 14 assessori effettivi e 4 supplenti nei c. con popolazione superiore a 500.000 ab.; 12 assessori effettivi e 3 supplenti nei c. con popolazione superiore ai 250.000 ab.; 10 assessori nel c. con popolazione superiore ai 100.000 ab.; 6 assessori nei c. con popolazione superiore ai 30.000 ab. o anche con popolazione inferiore ma che siano capoluoghi di provincia; 4 assessori nei c. con popolazione superiore ai 3.000 ab.; 2 assessori negli altri. Il sindaco è il presidente del Consiglio comunale e quindi il capo di quella comunità organizzata che è il c. Secondo la legge, oltre a rivestire tale qualifica di capo dell'amministrazione comunale, è anche ufficiale del governo, per quella serie di funzioni che lo Stato deve svolgere nell'ambito del c., e infine ufficiale dello stato civile e ufficiale di pubblica sicurezza. Suo distintivo è la fascia tricolore con l'emblema dello Stato. Al Sindaco è affidata la firma dei provvedimenti del c., la stipulazione dei contratti, la rappresentanza in giudizio del c., la direzione del Consiglio e della Giunta, il rilascio dei certificati. Il c., come qualsiasi altro ente pubblico, ha degli organi burocratici a capo dei quali è il segretario comunale, che è il più alto funzionario burocratico. Pur appartenendo alla categoria degli impiegati statali, l'onere degli stipendi, degli assegni e delle indennità sono a carico del c. Ma oltre al segretario e ai capi Ripartizione vi sono pure degli organi consegnatari, quali l'economato, l'ufficio tecnico, l'ufficio di polizia urbana e tutti gli altri uffici che hanno in consegna beni mobili e immobili comunali, e degli organi riscuotitori, quali il tesoriere o l'esattore tesoriere e gli incaricati di speciali riscossioni. Le norme sullo stato giuridico ed economico del personale comunale sono previste da appositi regolamenti organici.

- St. - Il c. nel Medioevo. Il c. risulta essere all'origine (XI sec), un'associazione volontaria, temporanea e giurata, di cittadini o gruppi di cittadini, forte del riconoscimento del re o dell'imperatore. La sua origine differisce nelle varie città, secondo le forze che hanno contribuito alla sua formazione, ma in generale il c. può dirsi il prodotto della rivolta di vassalli inferiori, del conte o del vescovo, professionisti e mercanti arricchiti, contro l'aristocrazia feudale, e in ispecie del capitale mobiliare contro la ricchezza terriera; infatti anche i gloriosi c. rurali risultano dall'emancipazione dei contadini dai loro signori, che finirono per riconoscere il c. rurale amministrato da quelli che prima erano stati servi e per autorizzare libere istituzioni municipali. In Italia il c. affermò la propria autonomia consolidando le istituzioni interne; ottenne successi contro l'Impero (dieta di Roncaglia, 1158), la grande vittoria di Legnano contro Federico Barbarossa (1176), e, infine, il riconoscimento della pace di Costanza (1183). Qui i c. conseguirono il diritto alle regalie (libera amministrazione della giustizia, godimento dei proventi di imposte e tasse, facoltà di conio). Nella struttura il c., dapprima a carattere consolare (partecipazione di una ristretta categoria di persone privilegiate) aggiunse dei consoli il cui numero variava da una città all'altra, mentre intervennero con una ferma volontà politica anche i cittadini estranei al governo in carica. Ne nacquero dei contrasti la cui conclusione fu la nomina di un podestà forestiero in carica per un solo anno. A costui spettavano anche la definizione degli statuti e l'applicazione degli indirizzi politici della città. Con la necessità di ampliamento dei confini per la soluzione di problemi anche di natura economica, venne a crearsi il fenomeno delle piccole guerre e spedizioni militari con un conseguente inserimento di ulteriori categorie di cittadini nel governo comunale. Ciò modificò la struttura del c. podestarile che vide il costituirsi di una nuova organizzazione politica, il c. artium, guidata da un capitano del popolo, avente le stesse prerogative del podestà. Si giunse così al c. delle Arti, di cui è chiaro esempio quello istituito a Firenze (1295). Fra le classi del c. e i componenti delle arti minori, ancora esclusi dal governo, successivamente sorsero aspre contese che ebbero termine soltanto all'instaurazione della cosiddetta signoria.

Signorìa.

Il potere, l'autorità del signore, nei vari significati che questo termine ebbe storicamente. ║ Dominio, potere politico esercitato in maniera assolutistica. ║ Fig. - Potere, predominio esercitato su altri da parte di cose o persone, usato come sinonimo di balìa (V.). ║ Magistratura esecutiva di alcune città italiane nel tardo Medioevo e nel Rinascimento. ║ L'insieme dei poteri personali e territoriali esercitati a partire dal Medioevo dall'aristocrazia fondiaria ed ecclesiastica nei confronti dei contadini. ║ Nel contado fiorentino, nome con cui furono indicate (secc. XVI-XIX) alcune compagnie popolari costituite nei paesi e nei villaggi con lo scopo di organizzare pubblici festeggiamenti ispirati a quelli organizzati dalle compagnie popolari (potenze) fiorentine. ║ Titolo attribuito nel tardo Medioevo ad alti dignitari, funzionari e magistrati e a signori di Stati assolutistici; durante il Cinquecento, per influsso spagnolo, fu esteso anche a persone di condizione media. Sopravvisse fino a tempi recenti in alcune zone di campagna (dove veniva attribuito dai contadini al proprietario del fondo) o in espressioni scherzose, o ancora nella forma vossignoria. Il termine è tuttora usato nel linguaggio epistolare burocratico: la S. Vostra è formalmente invitata. ║ L'essere signore, l'attribuirsi modi e atteggiamenti, anche economici, da signore. ║ Tributo, detto anche arimannia, dovuto dai sudditi liberi al signore feudale come attestazione di dominio.

- Teol. - Le S.: in angelologia, categoria di angeli appartenenti al coro più alto del secondo ordine, chiamati anche, nella scala gerarchica dello Pseudo-Dionigi, Dominazioni.

- St. - Nella storia delle campagne, il potere esercitato dall'aristocrazia fondiaria laica ed ecclesiastica, a partire dall'età tardo antica fino a tutto il Medioevo (e in alcuni casi anche oltre), nei confronti dei contadini ad essa assoggettati. Fin dall'epoca romana i proprietari potevano agire nei confronti dei contadini anche per questioni non economiche e durante il Medioevo, soprattutto in età carolingia, essi si arrogarono il diritto di giudicare tutto ciò che fosse legato a problemi fondiari o di lavoro. Questa specifica s. era detta s. fondiaria. Dopo il X sec., periodo di crisi dei poteri pubblici, i proprietari terrieri iniziarono a unire i propri possedimenti, aumentando al contempo la propria autorità e il proprio potere, che assunse la fisionomia di potere di banno (diritto proprio dei capi di popolo di convocare e di punire gli assoggettati). I maggiori proprietari fondiari, in grado di erigere fortezze a difesa dei propri territori, ben distinti e circostanti il castello, si ritrovarono così ad avere il diritto-dovere di proteggere i lavoratori che prestavano la loro opera entro i confini del territorio. Il particolare tipo di s. da loro esercitato prese il nome di s. territoriale o di castello: in cambio della protezione accordata i signori pretendevano una serie di corvée, non di carattere solamente agrario, come erano quelle feudali, ma di tipo pratico, come la manutenzione del castello, la costruzione di strade, ecc. In un secondo tempo queste si intensificarono, assumendo ora l'aspetto di diritti di monopolio, ad esempio nell'obbligo ai contadini di utilizzare un forno, un mulino, ecc., ora quello di diritti sulla persona, ad esempio nelle pretese economiche signorili su eredità, matrimoni, ecc. I signori difendevano il proprio territorio grazie all'impiego di una forza armata detta masnada, mentre i signori ecclesiastici godevano anche della cosiddetta garanzia di immunità, in virtù della quale non erano ammessi pubblici ufficiali nei loro territori. La s. di banno trovò pieno sviluppo nei secc. XI-XII, perdendo gradatamente potere con l'avvento dei nuovi poteri forti (Monarchie, Stati regionali, Comuni).

║ In riferimento alla storia cittadina, forma di Governo che, in Italia, sostituì quella comunale a partire dagli ultimi anni del XIII sec. Spesso il passaggio alla S. avvenne tramite colpi di mano ratificati in seguito dagli organismi comunali e supportati da acclamazioni di piazza; il potere allora passava ufficialmente in mano al podestà, al capitanato di guerra, oppure a un particolare cittadino, trasformandosi in potere vitalizio; a volte, infine, un libero Comune, per ragioni economiche o di difesa, passò volontariamente nelle mani di un signore, diventando parte di una S. più ampia. In tutti i casi, il signore assumeva su di sé pieni poteri, ponendosi al di sopra delle parti e delle fazioni. Le S. maggiori furono quelle di Milano, guidata inizialmente dai Della Torre, quindi dai Visconti e infine dagli Sforza; di Verona, dove si stabilirono i Della Scala; di Mantova, guidata dai Bonacolsi e dai Gonzaga; di Firenze, dove il potere fu stabilmente nelle mani della famiglia de' Medici, unico esempio di S. guidata da una famiglia borghese e non aristocratico-fondiaria o militare. Le S. decaddero intorno al XV sec., quando i signori ottennero titolo di legittimità dall'Impero e dalla Chiesa trasformando i propri territori in Principati.

PICCOLO LESSICO

DOGE

Capo supremo delle antiche Repubbliche di Genova e Venezia.

OLIGARCHIA

Termine di origine greca usato nel linguaggio politico per indicare l'esercizio del potere ristretto solo ad un gruppo di persone.

PERSONAGGI CELEBRI

CONTE DI CARMAGNOLA

(1380-1432). Francesco Bussone, detto Conte di Carmagnola, fu capitano di ventura prima al servizio di Filippo Maria Visconti e poi, dal 1425, dei Veneziani. Vinse a Maclodio (1427) per conto del doge, segnando le sorti di Bergamo e Brescia, sottratte a Milano ed incorporate nella Repubblica di Venezia. Sospettato in seguito dagli stessi Veneziani e accusato di voler tornare al servizio dei Visconti, cadde vittima di quella ragion di Stato, che fu rigido criterio di governo della Repubblica di San Marco. Morì giustiziato.

RIASSUNTO CRONOLOGICO

1250: dopo la morte di Federico II, l'impero vive un periodo di profonda crisi, causato dalle lotte per la successione al trono.

1300: a Roma, durante il Giubileo, papa Bonifacio VIII proclama la supremazia del papato su tutti i re della terra. Nonostante questo tentativo teocratico, il potere temporale della Chiesa è in declino.

1303: muore papa Bonifacio VIII, dopo essere stato prigioniero di Guglielmo di Nogaret, nobile francese, ad Anagni.

1305: Clemente V, il nuovo papa imposto da Filippo il Bello, decide di portare la nuova sede del papato ad Avignone perché il papato possa godere della protezione del re di Francia.

1313: l'imperatore Arrigo VII scende in Italia per imporre ordine; la sua impresa fallisce a causa della morte dell'imperatore durante la spedizione.

1342: fallisce il tentativo di Gualtieri di Brienne di instaurare una Signoria a Firenze.

1347: Cola di Rienzo riesce a sollevare un moto di rivolta romana e a proclamare la Repubblica di Roma.

1354: Cola di Rienzo viene assassinato dai suoi stessi uomini.

1377: papa Gregorio XI può rientrare a Roma, ponendo fine all'esilio ad Avignone.

1378: tumulto dei Ciompi. Il popolino di Firenze insorge contro l'oligarchia nobiliare ed ottiene alcune concessioni. Muore papa Gregorio XI.

1379: gli Scaligeri sono costretti ad abbandonare tutte le città conquistate ad eccezione di Verona e Vicenza. Milano e Venezia si erano alleate per mantenere la pace in Italia.

1381: pace di Torino tra Veneziani e Genovesi mediata da Amedeo VI di Aosta. I Veneziani al comando di Vittor Pisani liberano Chioggia.

1387: i Visconti riescono a conquistare parecchie città venete compresa Verona, sede degli Scaligeri. La signoria scaligera scompare dalla scena italiana.

1388: Venezia, partecipando alla lega anti-scaligera, si impadronisce di Treviso, di Bassano, Belluno, Feltre e Padova, ex-sede della signoria dei Carresi.

1402: muore Giangaleazzo Visconti.

1427: per merito del Conte di Carmagnola, Venezia sconfigge Filippo Maria Visconti nella battaglia di Maclodio.

1434: Cosimo de' Medici assume la guida della città di Firenze.

1447: muore Filippo Maria Visconti; il popolo milanese proclama la nascita della Repubblica Ambrosiana.

1450: Francesco Sforza, inizialmente condottiero della Repubblica Ambrosiana riesce ad instaurare una propria Signoria nel capoluogo lombardo.

1453: Costantinopoli cade in mano ai Turchi.

1454: con la Pace di Lodi, Venezia si riappacifica con Milano. È il primo passo verso la Lega Italica, che vedrà unite Milano, Venezia, Firenze, il Regno di Napoli e lo Stato della Chiesa.

1478: congiura dei Pazzi contro Lorenzo e Giuliano de' Medici. Quest'ultimo viene assassinato nel corso di una messa a Santa Maria del Fiore.

1492: muore Lorenzo de' Medici, il Magnifico.

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